Oggi Vanity ha i capelli rosso fuoco. Si chiama ‘vulcan island’ è il nome della tintura. È seduta su un puf color arancione, sprofondata, con la schiena che le fa male da quanto è rilassata. Le finestre sono aperte, tutto è spalancato, fuori c’è un sole tropicale, si sente il suono dei grilli che viene dai prati, tutta campagna, il rumore di voci, l’odore tremendo della carne che arrostisce. Tutti gli uomini hanno il cazzo duro, prima o poi.
Vanity ha in mano un bicchiere di bianco, è frizzante, fa venire sonno e fa vomitare. Da quando ha avuto la bella idea di venire alla grigliata è l’unica cosa che ha preso, bianco vermentino. Forse non è vermentino. Allunga una mano fino al gomito e inizia a grattare finché non si stacca un pezzetto di crosta, allora lo prende e lo infila in bocca e inizia a mordicchiarlo fino a spezzarlo a pezzettini che si attaccano ai denti. Non sa di sangue. Non sa di niente.
Mentre andava all’aeroporto è caduta con la moto, scivolata sull’asfalto si è raschiata via la pelle del gomito e del ginocchio, è arrivata al check-in con i pantaloni infangati e sangue che le colava sulla maglietta, era splendida, era terribilmente splendida anche se non aveva ancora i capelli vulcan island. Se avesse avuto i capelli vulcan sarebbe stata perfetta.
Raschia ancora una crosta e sente male. Spera che togliendo la crosta venga fuori il buco rosso, che si veda la carne, il sangue bagnato. Invece sotto c’è solo una pelle rugosa e incerta, nuova. Come nasce in fretta la pelle. Vanity sente qualcuno che la chiama, da fuori. L’unico motivo che potrebbe spingere vanity ad uscire è che ha visto che hanno cominciato a girare le canne, ma quello che la tiene lontana mille miglia da fuori sono le madri. Le madri.
Hanno una decina di anni in più di vanity e oggi si celebrano. Circondate dagli esserini fragili che urlano e cadono e piangono e chiedono e corrono, celebrano il loro essere madri, si muovono come imperatrici perché sono delle madri. Parlano tra di loro e intanto amministrano la casa e quei cosi, quei granchietti maleducati. Vanity delle madri in questione pensa che siano delle nullità. Sembrano attrici, gesticolano come se stessero recitando in qualche reality, fanno dell’umorismo, declamano le glorie dei loro mariti. Parlano dei figli, alla nausea, delle maestre dei loro figli, degli insegnanti dei loro figli, degli amici dei loro figli, delle madri degli amici dei loro figli, delle malattie dei loro figli, di quanto siano fantastici, intelligenti e sensibili i loro figli, gli stessi che da ore urlano e piangono per qualsiasi cosa. Bisanzio.
L’odore di carne entra dalla finestra e prende lo stomaco della ragazza che ha problemi alimentari, tanto per cominciare non mangia carne. Vomita a solo pensare di mangiare carne ed è andata a una grigliata, ma quanto sono stronza, pensa, a una grigliata, che stronza. L’odore della carne bruciata, abbrustolita, il pensiero del grasso che si scioglie per il calore, cola sulla griglia e cade nel carbone facendo partire delle piccole fiamme animali; e anche tutta la carne che suo padre le faceva mangiare quando era una bambina, i ceffoni se non mangiava la fettina fatta all’olio. Con quello che era costata.
Era dura. La fettina fatta all’olio di suo padre era dura, durissima, poteva masticarla fino a spaccarsi i denti perché era carne di scarto, era la carne economica, era la carne per poveracci. Dura e senza gusto, sembrava una spugna rassodata.
Suo padre faceva spessissimo la fettina all’olio per lei e per suo fratello, perché si faceva in due minuti. Non è un piatto che abbia bisogno di una ricetta la fettina all’olio, si prende una padella si mette sul fuoco, si mette un po’ di olio dentro, si aspetta un attimo che si scaldi e poi ci si mette sopra una larga, dura, rossa fettina di carne che inizierà a sfrigolare e a mandare nella cucina quell’odore di olio e di carne fritte assieme, un odore dolciastro che Vanity ha ancora dentro la testa. Dopo un po’ girarla. A cottura ultimata, cioè quando la carne ha assunto il suo colorito marrone, allora buttare sopra del sale, quando basta. Servire calda ai figli con contorno di pomodoro tagliato a metà in senso orizzontale e riempito di olio fino a esondare. Sale quanto basta. Dire che la carne si mangia tutta, con quello che è costata non si lascia neanche un pezzo. Ceffoni.
Suo fratello la mangiava lentamente e quando suo padre andava nell’altra stanza a vedere la televisione o si chiudeva nel cesso a fare Quelle Cose Che Vanity Avrebbe Preferito Non Scoprire Su Suo Padre (da ora in poi nel racconto, QCCVAPNSSSP), allora suo fratello prendeva il piatto, si alzava in piedi, andava fino alla finestra che dava nel vuoto del condominio, e con una forchetta la faceva cadere di sotto. Poi si risedeva e senza dire niente fissava Vanity che masticava piangendo e avrebbe masticato finché suo padre non fosse venuto a darle i due ceffoni, i vecchi cari due ceffoni tanto promessi, e allora finalmente se ne sarebbe andata a letto, era per questo che piangeva, era un pianto preventivo.
Suo fratello non era un bastardo, era qualcosa di diverso. Vanity amava suo fratello, lo aveva cercato in cento occasioni, con i ginocchi sbucciati, con la faccia rossa di sberle, e suo fratello era sempre venuto. Non si era mai comportato da bastardo con lei, ma come qualcosa di diverso. Di diverso da un fratello, certo.
Fuori si sente di nuovo urlare, ridono. Vanity si passa un dito sulla crosta del gomito e tira dolcemente. Questa volta fa più male di prima, deve essere un pezzo che va in profondità. Vanity tiene la punta dell’unghia sotto la crosta, tira fino a sentire male e poi lascia andare e poi riprende ancora, finché la crosta con una fitta viene via, è un pezzo grosso. C’è del bagnato. La ragazza si infila la crosta in bocca e inizia a tagliarla con i denti e intanto si guarda il gomito, ora c’è uno strappo nella pelle, si vede del bagnato. La voce del fratellone echeggia da fuori, ci sono delle nuvole basse, sono arancioni per il tramonto, hanno un colore da videogioco. Nei videogiochi ci sono sempre le cose migliori.
Vanity fa uno sforzo in avanti e poi si alza. Barcolla. Va fino alla finestra, si appoggia con i gomiti sul davanzale, osserva il prato e la griglia che manda un fumo chiaro. Davanti ci sono i maschi che parlano, gli amici di suo fratello. Sani amici di suo fratello. Sono molto allegri, si muovono e parlano, si avvicinano in gruppetti da due e da tre si dicono qualcosa e poi si allontanano. Qualcuno sta a muovere la carne sulla brace, guarda le femmine sudando, c’è un caldo terribile. Un biondino con i capelli lunghi ha lasciato i maschi e si è messo nel mezzo delle mamme, c’è sempre un maschio che va dalle mamme, Vanity è una che nota queste cose e poi ci ricama sopra. Il biondino ridacchia e dice qualcosa a voce alta a Patrizia. Ha la pelle gialla, deve essere straniero. Arabo. La moglie di suo fratello è vestita da sesso, ha un vestito corto e morigerato che fa venire ancora più sesso, Vanity odia francamente Patrizia.
Dalla finestra alla terra quanto ci sarà? Due metri fino allo stipite porta-giardino e poi un altro metro e mezzo tra lo stipite della porta-giardino e l’inizio della finestra. Tre metri e mezzo circa. Vanity fissa lo spazio vuoto che c’è tra lei e la terra e pensa a come potrebbe cadere da tre metri e mezzo, cosa succederebbe. Buttandosi in avanti finirebbe con la testa sulle piastrelle davanti alla porta, sarebbe un colpo secco, sarebbe più che doloroso. Sarebbe inutile. Nevio adesso ha in mano dei fogli di giornale con cui fa vento per alzare il fuoco della piastra. Il biondino continua a scherzare con Patrizia e Nevio inizia a osservare la scena. La cosa migliore sarebbe cadere di gambe, come buttarsi di sotto, si potrebbe slogare una caviglia o spezzare una gamba, rotolerebbe a terra e poi vedrebbe la gamba storta con l’osso spezzato che spinge contro la pelle tumefatta. Griderebbe. Sarebbe una cosa diversa. Ma dovrebbe scavalcare la finestra, mettersi a cavalcioni, come l’uovo di Alice. Come si chiamava. Nevio ha messo via la carta e ora con un grosso forchettone gira la carne, ogni tanto si volta verso il biondino, Patrizia ride e parla, il biondino non sta zitto un attimo. Uno dei bambini che corrono nel prato ha visto Vanity e la chiama, Nevio si gira verso di lei. Humpty qualcosa, un nome del genere. Tiene ancora in mano il forchettone il fratellone, è rimasto immobile a fissarla. Nel forchettone c’è una salsiccia, grossa e tumida.
‘Ciao ciao fratellone’ pensa Vanity facendo un saluto con la mano a Nevio che fa un passo verso di lei, sempre con il forchettone in mano. Oppure potrebbe sbilanciarsi di lato, scivolare nel vuoto tenendosi la testa fra le braccia, sbattere sulle piastrelle con i gomiti, i polsi. I denti sbatterebbero si spezzerebbe qualcosa. Tre giorni prima attorno alle sei del mattino Vanity correva con il centocinquanta verso l’aereoporto, pioveva non c’era nessuno. Alla rotonda prima del centro commerciale Vanity aveva girato verso destra e poi di scatto a sinistra e poi ancora a destra, la moto era sbandata, lei era caduta raschiandosi braccia e gambe per un metro buono, la moto le era rimasta sulla gambe lei era sotto che urlava, non riusciva a spostarla. Godeva.
Sotto la pioggia sentiva dolore in tutto il corpo, la marmitta le bruciava una coscia, lei urlava e basta, non muoveva un muscolo. Sarebbe rimasta li sotto per ore, sotto la pioggia, con la marmitta rovente, la pelle strappata. Tutto che le girava intorno. Stava così bene, era così emozionata. Si sentiva così viva.
Vanity dondola la testa al di là della finestra e cerca con un piede un appoggio sul puf per sporgersi ancora di più in avanti, cerca di capire come potrebbe essere sicura di cadere di lato e non di testa, mentre il fratellone ha fatto cadere il forchettone con la salsiccia per terra, ha iniziato a correre per il prato. Sembra un giocatore di rugby e viene verso di lei, come se Vanity fosse la meta. Le femmine alzano la voce, Patrizia dice qualcosa e cammina verso la casa a passo lento, il biondino si mette a correre anche lui, sembra la parodia di suo fratello.
Tutti vanno verso Vanity che sorride, fa un gesto con la mano e poi sbalza in avanti, ruota come non pensava e cade di schiena, un tonfo che fa un rumore normale. I bambini corrono verso la casa sono felici, le madri urlano ai figli di stare fermi di non fare niente mentre Vanity vede solo il cielo, quelle nuvole che ormai stanno diventando grigie e dice lasciate che i bambini vengano a me e poi niente.
II
“Non sto male” dice Vanity.
Genova d’agosto sembra Genova a settembre, solo tutto è arido. Non fa caldo, Vanity si muove con lentezza, si aiuta con il bastone di metallo, le piace il bastone di metallo, sono diventati amici, lei e il bastone. Si chiama freddy, il bastone, perché è freddo.
Andrea cammina vicino a Vanity, fa finta di non vederla, le vorrebbe chiedere di andare da mondadori per dei fumetti. Le sembra stronzo, dopo quello che è successo. La vede che cammina con la schiena rigida, il gesso al polso, il bastone, è dimagrita, ha i capelli blu. Il numero di pugnette che Andrea si è sparato pensando di farsi Vanity è incalcolabile. Quando, questa cosa non l’ha mai detta a nessuno, quando Andrea ha iniziato a scrivere ‘Vaggina vs alienoids’, ecco, Vaggina era ispirata da Vanity. Andrea di Vanity conosce l’odore, il vero nome, sa come è morta la madre, sa che gran bastardo è il padre, ha visto qualche volta il fratello, sa che lavoro fa, conosce il giorno del mese in cui Vanity regolarmente cambia colore ai capelli, sta male in agosto nudo sotto le coperte senza Vanity e con Vanity.
Una volta lei ha detto ad Andrea, io non ho amici, ma se ne avessi uno vorrei che fosse come te, ma un po’ più fico. E questa frase è la cosa più gentile e intima che Vanity abbia mai detto ad Andrea e che comunque è sufficiente a farlo rodere nel suo stesso grasso per anni.
Vanity cambia colore ai capelli il giorno delle mestruazioni.
È regolare. Appena Vanity si sente le fitte e al cesso scopre la solita permutazione, si pulisce, infila la testa ne lavandino e prende una delle boccette.
Andrea si era studiato un intero saggio sul metodo Billings per esserne certo.
[da bisanzio aka la fotografia dell’animale]